A circa un mese dalla svinatura, di solito in dicembre, si procedeva a tramutare il vino. L’operazione consisteva nel togliere tutto il vino dalle botti per eliminare le impurità che si erano depositate sul fondo. La fondata che si toglieva dalle botti era una poltiglia rossiccia chiamata feccia che veniva raccolta dentro un contenitore. Dopo aver lavato ben bene le botti vi si immetteva di nuovo il vino e dopo non restava che governarlo. Viene da chiedersi: ma come! Il vino mangia? Si. Nella nostra zona in quegli anni tale tecnica era diffusa. Si ricorderà che al momento della vendemmia avevamo scelto dell’uva sia bianca che nera e depositata sopra dei cannicci. Questa uva, dopo quasi due mesi, era ben passita. Si prendeva la nera dal canniccio e, dopo aver tolto gli eventuali acini marciti, si depositava dentro un bigoncio e si procedeva ad una accurata pigiatura depositando il tutto dentro le botti: in questo consisteva il governo. Il vino, arricchito dal nuovo mosto con una concentrazione zuccherina molto alta, aveva una nuova fermentazione. In seguito si procedeva ad ulteriori travasi sempre per eliminare le impurità. Infine il vino si sigillava dentro botti e damigiane pronto per essere consumato.
botte antica per il vino. Museo attrezzi storici famiglia Gallinella (Palazzone)
Indice dei contenuti
La preparazione del vinsanto
Nello stesso periodo del governo del vino si provvedeva a lavorare anche l’uva bianca, parimenti accantonata, che era destinata alla produzione del vinsanto. Dopo la pigiatura si doveva separare il mosto dalla vinaccia. Essendo una piccola quantità non era possibile usare lo strettoio a meno che non ne avessimo uno piccolo adatto proprio allo scopo. Si riusciva a spremere l’uva servendoci di utensili forati, aiutandoci anche con le mani, in modo che alla fine si perdessero limitate quantità di liquido. Il mosto si versava nel barile detto anche barilotto o barlozzo. Si usava il contenitore dal quale era appena stato tolto il vinsanto precedente,. Per la maturazione del prodotto occorrevano almeno tre anni, però poteva restarvi per periodi molto più lunghi. Tolto il vinsanto sul fondo del barile restava il deposito che si era formato durante il periodo di invecchiamento, che viene chiamata madre ed è un concentrato di sapori e profumi del vinsanto. Parte della madre doveva restare nel barile che serviva ad innescare la formazione del nuovo vinsanto. La madre in eccesso può servire a creare il vinsanto su un nuovo barile. Spesso venivano riciclati i barili che avevano contenuto “il marsala” che avevano il vantaggio di conservare il buon aroma che questo noto vino siciliano possiede. Il vinsanto prodotto in un barile nuovo, anche con l’ inserimento della madre, non riesce di buona qualità.
- Ti può interessare: come potare la vite
Vinsanto e cantucci
La produzione dell’aceto
I barilotti si usavano anche per produrre aceto. Anche a questo scopo occorreva la madre che conteneva i fermenti idonei all’acidificazione del vino. Questi barili non venivano sigillati ma chiusi con un semplice tappo in sughero, doveva passare dell’aria, ma non corpi estranei. Dentro i barili si versava il vino di scarsa qualità o quello già leggermente inacidito, al di sotto per mezzo di una cannellina si estraeva l’aceto.
Il recupero della feccia per fare la grappa
Dell’uva si può dire, come del maiale, che non si butta niente. Infatti anche la feccia che abbiamo tolto dalle botti al momento della svinatura può avere un suo utilizzo. Ricordo in inverno, quando avevamo già iniziato a scaldare l’acqua per abbeverare gli animali, al mattino appena terminata questa incombenza, un giorno riempivamo di nuovo la caldaia continuando a fare fuoco. Contemporaneamente si riempiva la stagna metallica della feccia, collegando al tappo la serpentina in rame. La stagna era poi immersa a bagnomaria dentro la caldaia. Portando ad ebollizione l’acqua il calore trasmesso alla stagna faceva evaporare l’alcool che saliva per la serpentina. Questa essendo in rame era molto flessibile. Dopo un tratto diritto era piegata in modo da formare molti cerchi come una specie di molla. Si faceva passare questo tratto dentro un recipiente contenente acqua fredda. Percorso tutto l’alambicco l’alcool tornava allo stato liquido e percorrendo in discesa l’ultimo tratto della serpentina finiva dentro un contenitore che poteva essere un fiasco oppure un bottiglione; avevamo distillato la grappa. Era opportuno eliminare sia la prima che l’ultima in quanto di qualità inferiore.
La grappa è incolore e limpida, dentro una bottiglia non si distingue dall’acqua, appena distillata ne assaggiavamo qualche sorso, io la trovavo così forte da non riuscire a berla. Anche gli uomini che pure ne bevevano qualche bicchierino non ne erano particolarmente entusiasti, si può dire che in famiglia potevamo anche farne a meno. La produzione di grappa era proibita, se ci avesse scoperto la Guardia di Finanza, avremmo dovuto anche pagare una sanzione. Alle volte vi si aggiungevano degli ingredienti acquistati in negozi, sostanzialmente credo si trattasse di zuccheri e coloranti, la miscela assumeva una consistenza leggermente più densa, un sapore abbastanza dolce, ed il colore lo ricordo di un verde intenso. Quel liquore fatto in casa veniva occasionalmente bevuto ed offerto ai visitatori.
Quale rilievo aveva la coltivazione della vite nella nostra zona? I contadini consideravano il vino genere di prima necessità e non doveva mai mancare il tavola. Veniva però annacquato perdendo così gran parte del suo sapore. Mia nonna riempiva il suo bicchiere di acqua e vi aggiungeva vino sufficiente a farla divenire di color rosa chiaro. Diceva che così era meglio dell’acqua sola, io però non sono di questo parere. Se il vino non fosse stato sufficiente doveva essere acquistato. La mia memoria mi dice che nella nostra famiglia il vino non sia mai stato comprato, raramente ed in piccole quantità si riusciva a venderne. In qualche annata poteva succedere che il vino finisse in prossimità della vendemmia, in questo caso facevamo il cosiddetto bigonzo: si vendemmiava un poco di uva, scegliendo quella abbastanza matura, per riempire il contenitore. Dopo una settimana di fermentazione il vino poteva essere bevuto freschissimo.
Vi erano dei poderi, più che altro in collina, dove il prodotto era di qualità superiore e la coltura più diffusa la vite, dalla quale i contadini ricavavano un buon reddito. Anche il commercio del vino produceva alti guadagni.
Serie coltivazione della vite:
- La vendemmia di una volta
- Come si faceva il vino, gli attrezzi in cantina
- Coltivazione della vite. Potatura, legatura e rincolco
- Svinatura, torchiatura e produzione dell’acquato
- Preparazione del vinsanto, aceto e grappa (questo articolo)
- Coltivazione della vite, i trattamenti con ramato, zolfo e vangatura
Leggi anche
Come e quando potare la vite
La casa colonica, la stalla e gli annessi del podere
Come si coltivava il grano 70 anni fa
Quando la canapa italiana era la migliore del mondo
L’allevamento dei maiali nei poderi della Valdichiana
L’erba per i conigli e le foglie per i bachi da seta
Iscriviti alla Newsletter
Per non perderti articoli e video del Bosco di Ogigia
Il fondo che rimane nella botte dopo il primo travaso del vino (detto feccia) credo fosse usato per la tintura delle lane e come fissativo, della serie non si butta via niente
Ciao Betty, che belli i ricordi del babbo. Grazie di aver condiviso il tuo di ricordo. Il vero riciclo lo sapevano fare bene i nostri nonni