Le api sono uno straordinario esempio di come funzionano le cose in natura. Sono fondamentali per la vita del pianeta, come ci ricorda la famosa frase attribuita ad Albert Einstein, che lo scienziato forse non ha mai pronunciato: “Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”. Perché allora non ci adoperiamo e salviamo le api?
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Salviamo le api per salvare noi stessi
Le api ci rendono evidenti le relazioni tra gli elementi, la complessità dei sistemi e la fragilità degli equilibri raggiunti con millenni di evoluzione. Se le api scomparissero dalla terra per l’umanità sarebbe in effetti una gran brutta notizia. Appena un po’ più grave di quelle che riguardano le numerose estinzioni di varietà di insetti, animali e vegetali che avvengono a ritmo sempre più sostenuto e che gli scienziati denunciano senza che nulla, o quasi, venga fatto per arrestare il processo. La notorietà e l’interesse, anche economico, che riguarda questi speciali insetti può portare fortuna a loro e di conseguenza a tutti noi. Grazie al riflettore acceso sulle api le stiamo conoscendo sempre meglio fino a capire le cause della loro crisi.
Se in un luogo le api stanno bene, tutto l’ambiente è in salute e lo è dunque anche l’uomo. (da Il piacere delle api di Paolo Fontana)
Se le api muoiono, si riducono, sono deboli, non ce la fanno a vivere senza l’intervento umano e stentano a riprodursi, vuol dire che l’ambiente che le ospita non è adatto a garantire una vita sana anche all’uomo. Ma se capiamo le cause del loro declino, avremo trovato anche il rimedio e aiutando loro staremo già creando una condizione più favorevole alla vita dell’uomo.
Intervista a Paolo Fontana, entomologo e apicoltore
Paolo Fontana, entomologo e apicoltore, è un grande esperto di api e di recente ha pubblicato un libro dal titolo “Il piacere delle Api”, che prende questi insetti come modello di sostenibilità. L’ho incontrato e intervistato a Roma circondato dalle sue adorate api.
Ci troviamo in una fase cruciale dell’apicultura, le api stanno male, cosa possono fare gli apicoltori per salvarle?
L’apicoltura è nata sulla biologia dell’apis mellifera e solo su questo insetto è possibile intervenire per ottenere una produzione. Dobbiamo fare leva sul favo naturale, il favo di cera è modellato dalle api in base alle loro esigenze. Lasciar costruire a loro il favo di cera credo sia una prospettiva per l’apicoltura, non da punto di vista etico, ma dal punto di vista professionale. L’altro aspetto è lo stretto legame tra le varie popolazioni di api e il loro territorio. Un ape ben adattata al territorio è un ape produttiva, dobbiamo rinunciare alle sirene di ibridi, di api straordinarie. La comunità scientifica italiana sta già sul pezzo. Abbiamo stilato un documento che si chiama Carta di San Michele all’Adige (ndr vedi appendice alla fine del pezzo), che spiega le problematiche, le loro cause e quindi le possibili soluzioni.
Nella tutela delle api anche i consumatori possono avere un ruolo, come dobbiamo avvicinarci ai prodotti dell’apicoltura?
È importante conoscere il legame del miele con un territorio piuttosto che la sua origine botanica. Vanno preferiti i mieli di millefiori, i mieli che portano sull’etichetta il luogo della raccolta, i mieli di piccoli/medi apicoltori che fanno apicoltura stanziale, invece di un’apicoltura basata su nomadismi spinti. Inoltre possiamo imparare a interpellare le api nelle nostre scelte quotidiane. Se devo mettere un fiore nel balcone posso chiedermi: “Può far bene alle api?”. Se faccio scelte che aiutano le api sono sicuro di fare scelte che aiutano tutti. Che cibo mangio, che piante metto nel giardino, dove vado in vacanza, che mezzi di trasporto utilizzo? Per tutte le nostre scelte quotidiane possiamo fare questo esercizio, così le api ci porteranno nella strada della perfetta sostenibilità.
Conoscere meglio le api e non avere paura
Conoscere meglio le api e a non avere paura di loro, ci aiuta a conoscere la natura?
“Le api ci mettono in contatto con la natura a 360°. Ci fanno vedere le meraviglie, le delizie e anche come la natura si difende. Quando apriamo un alveare apriamo allo stesso tempo le porte del paradiso e dell’inferno. Dentro troviamo il miele dolcissimo e le api straordinarie, ma anche 50 mila pungiglioni pronti a pungerci. Il fatto di gestire sia la nostra paura sia le api, per non metterle in allarme, è qualcosa che l’uomo ha vissuto in tutta la sua evoluzione. La paura è funzionale alla nostra sopravvivenza, la gestione della paura è funzionale alla nostra felicità e alla nostra serenità. Le api ci mettono davanti ad una natura completa, non la natura agiografica del cagnolino in grembo, del cavallo nel maneggio, dello stambecco visto col binocolo. È la natura di cui accarezziamo la nuda scorza e succhiamo il dolce nettare.
Un consiglio per avvicinarci alle api?
Il consiglio è cercare di fare delle esperienze. In primo luogo con le aziende apistiche e i gruppi che fanno attività didattiche con cui ci si può avvicinare alle api, guardare dal’esterno, imparare a non impressionarci se un ape ci vola attorno. L’altra cosa che possiamo fare è imporci un controllo quando vediamo animali sconosciuti. Animali pericolosi in Italia ce ne sono veramente pochi. Vespe e calabroni possono dare shock anafilattico, ma la probabilità di essere investiti da un’auto è più alta, eppure non abbiamo timore dell’auto.
Carta di San Michele all’Adige
Estratto della Carta di San Michele all’Adige
Purtroppo, in Europa, lo stato di conservazione delle sottospecie autoctone di Apis mellifera e dei rispettivi eco tipi è seriamente compromesso. Le cause di questa compromissione possono essere individuate in almeno sei gruppi di fenomeni. Il primo, noto anche se in modo ridotto fin dall’antichità, è la movimentazione da parte degli apicoltori di sottospecie da una regione all’altra dell’Europa. Il secondo fenomeno che ha contribuito alla compromissione della conservazione delle sottospecie autoctone di A. mellifera è determinato dalle tecniche di allevamento di api regine. Il terzo aspetto negativo per la conservazione delle sottospecie autoctone di A. mellifera è dato dal nomadismo apistico su larga scala. Un colpo mortale alla conservazione delle sottospecie autoctone deriva però dal trasferimento sull’ape mellifica dell’acaro parassita Varroa destructor, legato in origine alle sole specie asiatiche del genere Apis. Un altro fenomeno, abbastanza recente, che sta minacciando la sopravvivenza delle sottospecie autoctone è dato dalla diffusione in molte parti d’Europa e d’Italia di api selezionate come ibridi commerciali. Infine le api mellifiche, come tutti gli apoidei e gli altri insetti pronubi, sono seriamente minacciati da altri gravissimi fattori di carattere ambientale di origine antropica. Questi sono l’inquinamento chimico, specialmente a causa del massiccio e capillare uso di agrofarmaci, le modificazioni ambientali con conseguente riduzione della flora nettarifera e i mutamenti climatici.
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