Dopo una ventina di giorni dalla semina, all’incirca a fine novembre, cominciava a nascere il grano. In pochi giorni i campi verdeggiavano. Allora si poteva apprezzare la qualità della semina. Se sul campo non si notava lo stacco tra una passaggio e l’altro della seminatrice significava che il contadino era stato abile nel guidare le bestie. A parte la perfezione della semina, che non aveva una vera rilevanza pratica, per una buona nascita del grano era importante la stagione (le condizioni meteorologiche). Delle piogge non molto abbondanti erano utili sia che la semina fosse stata troppo asciutta che, al contrario, eccessivamente bagnata. Nel primo caso, bagnando il terreno, si creavano le condizioni ideali di umidità che favorivano la germogliazione del seme. Nel secondo caso la pioggia impediva che il terreno, asciugandosi rapidamente, diventasse una malta impenetrabile per il germoglio.
Anche durante l’inverno il clima era importantissimo per lo sviluppo del grano. Il proverbio, citato spesso dagli anziani, che recitava “sotto la neve ci sta il pane, sotto l’acqua ci sta la fame” aveva una esatta conferma nella realtà. Infatti la pioggia eccessiva, battendo il terreno e spesso ristagnando nei campi in pianura, faceva diventare le piantine del grano gialle e asfittiche ed in alcuni casi si vedevano spazi di terreno dove il grano era scomparso completamente. Al contrario la neve, sciogliendosi lentamente, gelando e disgelando, manteneva il terreno soffice e bagnato favorendo la crescita e l’accestimento del piantine. In quegli anni (nel secondo dopoguerra) anche in Valdichiana le nevicate erano abbastanza frequenti, mentre ai giorni nostri sono diventate una vera rarità. Nella mitica annata del 1956 la neve ricoprì il terreno con una spessa coltre ininterrottamente per circa 45 giorni.
Durante lo sviluppo il grano non richiedeva lavori particolari. Nelle annate più sfavorevoli (troppo umide) il grano poteva essere infestato dalle erbe spontanee. All’epoca non esistevano diserbanti, i quali fecero la loro comparsa sperimentale in prossimità degli anni ’60. La pianta che infestava particolarmente il grano era il papavero. Quando nella primavera inoltrata si vedevano i campi di grano pieni di quei bei fiori rossi non era il segnale di un buon raccolto. Contro questa infestante non si poteva fare molto. I contadini intervenivano con la zappa, lo facevano però in spazi limitati dove la pianta aveva particolarmente attecchito, non era possibile passare per tutta l’estensione del campo seminato. Altra pianta che compariva molto spesso in mezzo al grano era il biadone, specie di biada selvatica che cresceva nettamente più alta del grano e aveva una maturazione anticipata rispetto a questo. Al momento della mietitura il biadone aveva già perduto il seme e non provocava particolari pregiudizi al raccolto del grano.
“Santa croce spiga il grano e crea la noce”. Questo il detto popolare che sentivo spesso pronunciare dagli anziani. Non so se per quella ricorrenza, che cade il 3 maggio, si crea veramente la noce. Sono, però, certo che in cima allo stelo del grano proprio nei primi giorni di maggio, dopo un rapido sviluppo iniziato a fine inverno, appare un rigonfiamento, ovvero la spiga. Dopo circa 50 giorni da questo evento il grano sarà pronto per la mietitura. Un altro detto contadino afferma: “San Pietro prendi la falce e vagli dietro”. In realtà, a mia memoria, la mietitura iniziava almeno una settimana prima del 29 giugno, giorno della ricorrenza degli Santi Apostoli Pietro e Paolo. Dopo il venti giugno di ogni anno la famiglia si preparava per la mietitura.
Continua Come ci si preparava alla mietitura
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