L’agricoltura tradizionale usa molti prodotti chimici, pesticidi, erbicidi e fertilizzanti, per ottenere raccolti abbondanti e adatti alle esigenze del mercato. Tra i prodotti agricoli che ricevono il maggior numero di trattamenti ci sono le mele, che in Italia vengono prodotte in grande quantità nel Trentino. L’utilizzo di tante sostanze chimiche ha conseguenze sulla salute che gli abitanti delle zone più intensamente coltivate subiscono in modo particolarmente pesante. La mela, un tempo simbolo del cibo che fa bene, è diventata in tanti casi uno degli alimenti più avvelenati da pesticidi.

Locandina del documentario di Andrea Tomasi e Leonardo Fabbri

Locandina del documentario di Andrea Tomasi e Leonardo Fabbri

Andrea Tomasi, un giornalista trentino, partendo dall’osservazione di ciò che accade nel suo territorio, è andato ad indagare sulle conseguenze per la salute umana di certi trattamenti. Ne è scaturito un documentario dal titolo “Pestidici, siamo alla frutta. Biancaneve non è sola”, interamente autoprodotto, che sta girando l’Italia per sensibilizzare le persone sul pericolo che stiamo correndo e per chiedere che venga applicato il principio di precauzione. Intervista dopo intervista si scopre che i pesticidi si trovano ormai ovunque, nei ghiacciai, nei favi delle api selvatiche, negli escrementi di orso e nel 100% di un gruppo di donne in gravidanza sottoposte ad analisi che vivono a Roma. Non è una sorpresa, ma la conferma che viviamo in un mondo inquinato, dove nessun territorio, neppure il più remoto può considerarsi incontaminato.

Sul tema dei pesticidi è uscito di recente il “Rapporto nazionale Pesticidi nelle acque – dati 2015 2016”, predisposto dall’ISPRA, istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Nel rapporto si legge:

La presenza di pesticidi nell’ambiente, oltre a rappresentare un rischio per gli ecosistemi, pone problemi anche per l’uomo. L’uomo può assimilare sostanze chimiche pericolose attraverso gli alimenti e l’acqua, ma anche attraverso le vie respiratorie e la pelle. L’esposizione per via orale dipende dalla presenza di residui della sostanza nel cibo e nell’acqua potabile e dalle quantità di cibo e acqua consumata.

I risultati delle indagini mostrano la presenza di una contaminazione diffusa, che interessa gran parte del territorio italiano. L’analisi dell’evoluzione, inoltre, indica che il fenomeno non è ancora completamente noto, sia in termini territoriali, sia in termini di frequenze di rilevamento e di sostanze trovate. La contaminazione è, pertanto, sottostimata, in primo luogo per il fatto che in vaste aree del centro-sud, il monitoraggio non è ancora adeguato. Un fattore finora non sufficientemente considerato è la reale persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende l’inquinamento ambientale difficilmente reversibile.

Proprio di questo tratta il documentario realizzato da Andrea Tomasi con il supporto tecnico di Leonardo Fabbri.

Andrea, quale messaggio avevi in mente quando hai deciso di realizzare questo documentario?

Andrea Tomasi

Il giornalista Andrea Tomasi

“L’idea era di raccontare il mondo dell’agricoltura intensiva e le possibili alternative. E anche spiegare che ciascuno di noi ha il potere di fare qualcosa per il cambiamento. Il nostro potere “di voto” lo esercitiamo quando andiamo a  fare la spesa. Quando decidiamo di puntare sul biologico, che al momento sembra essere l’unica alternativa possibile, diciamo al mercato ciò che vogliamo. Cammin facendo sono emerse tante altre cose perché l’argomento vero del documentario è la salute e l’ambiente. Le due cose vanno di pari passo. Se non rispettiamo l’ambiente questo cosa ci torna indietro, ci rimettiamo in salute noi e i nostri figli”.

Nel tuo documentario si parla soprattutto della coltivazione delle mele e tu vivi in una zona dove questa è la coltura principale. È stato difficile far parlare del documentario o proiettarlo?

Irrorazione di pesticidi in un meleto

Irrorazione di pesticidi in un meleto. Immagine tratta dal documentario “Pesticidi, siamo alla frutta”

“Nel documentario si parla molto di Trentino e di melicoltura. In Trentino la melicoltura rende tanto dal punto di vista economico, quindi è più difficile affermare che forse non stiamo andando nella direzione migliore possibile. Però ho trovato attenzione da parte dei cittadini, anche i più giovani, che si rendono conto che le cose possono cambiare. Che non è giusto dire che si è sempre fatto così e quindi così si continuerà  a fare. Alle proiezioni sono venuti in tanti, ci siamo scontrati talvolta con agricoltori che ci dicevano che stavamo sbagliando bersaglio. In realtà non c’è un bersaglio, stiamo semplicemente dicendo che esiste il principio di precauzione e che  in Trentino, dove abbiamo l’autonomia e quindi risorse finanziarie elevate, possiamo fare qualcosa di diverso. È evidente che viviamo in un ambiente dove le fonti di inquinamento sono molteplici, non ci sono solo i pesticidi che ci danneggiano, pensiamo ai telefoni cellulari, all’inquinamento atmosferico. Ma ci sono delle cose che possiamo cambiare a tra queste c’è l’utilizzo dei pesticidi”.

Per l’economia del territorio è davvero così fondamentale continuare a coltivare le mele in quel modo o si può decidere una strategia diversa.

“Io capisco i contadini preoccupati per il raccolto. Però gli stessi colossi della frutticultura nel nord Italia, come in altre parti del Paese, stanno iniziando a capire che il mercato è in mutazione. Che la gente chiede qualità. Si sta muovendo qualcosa, ancora troppo poco, ma ci sono dei piccoli e medi agricoltori biologici che stanno facendo un ottimo lavoro in tutta Italia, Quindi gli spazi per cambiare le cose ci sono e si guarda al biologico perché questa sembra l’unica via che possiamo percorrere”.

Serata di proiezione a Roma del docum

Serata di proiezione a Roma del documentario di Andrea Tomasi nella sede del Centro Italiano di Medicina Integrata

Tra le cose che hai scoperto lavorando al documentario, quale ti ha colpito di più?

“C’è una parte in cui si parla delle incidenze tumorali in Trentino. A dare i dati è l’Ail (Associazione italiana contro le leucemie linfomi e mieloma) del Trentino che per la prima volta dice chiaro e tondo: guardate che ci sono alcune zone, la Piana Rotaliana e la Valle di Non, dove si fa melicoltura in cui l’ incidenza tumorale è maggiore che altrove. Questo fa una certa impressione. Il dato che dà il presidente dell’Ail Trentino Roberto Valcanover riguarda i casi di trapiantati a Bolzano. Quindi si tratta di una valore per difetto perché ci si basa solo sui trapiantati e non su tutti i malati e non tiene conto di quelli che vanno a Roma, a Milano, a Padova o all’estero. Questo ci deve far suonare il campanello d’allarme: attenzione c’è qualcosa che non va”.

Francesca Della Giovampaola

Cibo e pesticidi. Con Andrea Tomasi (video)

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