Finita la realizzazione delle strade entrava in campo la falciatrice. Questa macchina, al contrario della seminatrice, faceva parte, insieme ai carri agricoli, di quegli attrezzi, erano anche i più costosi, che dovevano essere forniti dai contadini. Noi avevamo una falciatrice tra le più moderne all’epoca. Aveva gli ingranaggi a bagno d’olio chiusi in una coppa in ghisa, ogni tanto dovevamo sostituire l’olio proprio come nelle automobili. Non ricordo precisamente quando fu acquistata e non mi sembra che ne avessimo in precedenza una più antica. Forse ne esisteva una ad uso di più contadini.
La falciatrice aveva la barra falciante sul lato destro che si abbassava, in posizione di lavoro e si alzava tramite una leva a scatti. La barra aveva dei denti ad una distanza tra l’uno e l’altro di circa 10 centimetri. Sopra la barra, tra i denti, scorreva avanti e indietro la lama falciante azionata da una biella che a sua volta prendeva energia, tramite ingranaggi, dalle ruote in movimento. La falciatrice aveva due seggiolini: uno rigido, sopra la ruota destra proprio accanto alla barra falciante, l’altro molleggiato, al centro più arretrato. Sul seggiolino centrale si posizionava la persona che guidava le bestie. Doveva stare attento che il bove (bue) o la vacca di destra camminassero sempre sfiorando appena la prima fila del grano. Il compito più difficile spettava al contadino che si sedeva sul seggiolino di destra. Dietro la barra falciante era applicato un cancelletto in legno che ,tramite una catenella collegata ad un pedale, si alzava ed abbassava. L’operatore teneva il piede pigiato sul pedale in modo che il cancelletto rimanesse alzato. Il grano tagliato si appoggiava al cancelletto. Quando l’operatore riteneva che il grano tagliato fosse sufficiente per formare una manna, toglieva il piede dal pedale. Mentre il cancello si abbassava, con gesti rapidi, servendosi di un apposito rastrello in legno, il contadino scaricava il mucchietto di grano a terra. Immediatamente pigiava di nuovo sul pedale così che la barra alzasse ancora la coda per formare la nuova manna.
La falciatrice faceva tutto il giro intorno al campo. A questo punto, se i contadini erano stati particolarmente abili, si vedeva il filo del grano rimasto in piedi perfettamente dritto ed i mucchi di grano pareggiati. Altrimenti si notavano storture nel taglio: potevano esserci dei tratti in cui la lama falciante non era stata utilizzata per tutta la sua lunghezza; altri addirittura in cui la ruota destra era salita sopra il grano lasciandolo non tagliato. Inoltre le manne potevano essere un poco sfilacciate. In questi casi il lavoro della squadra al seguito si complicava. Questi inconvenienti potevano succedere all’inizio della mietitura perché in seguito gli addetti ci prendevano la mano ed il lavoro riusciva bene.
Nella mia famiglia, di solito, gli addetti alla falciatrice erano i miei fratelli. Mentre io facevo parte della squadra dei raccoglitori con il compito di preparare i legacci che chiamavamo balzi. Per fare il balzo prendevo un mazzetto di steli di grano dalla manna. Tenevo con la mano sinistra gli steli all’altezza della spiga mentre con la destra dividevo in due parti il mazzetto. Passavo una parte del grano sotto il braccio eseguendo poi un intreccio che permetteva la formazione del balzo. Il balzo appariva con la testa formata da tutte le spighe mentre gli steli divisi formavano due braccia aperte. Depositavo questo legaccio davanti al mucchietto di grano. Un altro familiare, con la falce, raccoglieva il fascio e lo metteva sopra il balzo. Una terza persona, di solito mio babbo, provvedeva a legare la manna ed a spostarla sulla sinistra per liberare il passaggio per il secondo giro della falciatrice. Prima di ripartire per un altro giro gli addetti alla macchina attendevano che fosse liberato almeno un lato del campo. Nell’attesa loro stessi provvedevano a sistemare alcune manne, quelle che stavano dietro la falciatrice, le ultime formate. Facendo i balzi alle volte mi capitava, quando il grano era molto secco, che gli steli si rompessero. In questi casi usavo il biadone che era quasi sempre presente tra il grano. Sfilavo i fili di biada dalle manne con strappi secchi per non scomporre i mucchietti di grano. Il biadone era molto più lungo del grano ed anche più robusto pertanto i legacci venivano più resistenti anche con meno steli. Se il grano era umido lo lasciavamo senza legare per fargli prendere un po’ di sole. Questo comportava il rischio che se fosse arrivata un’improvvisa ventata sarebbe diventato un grosso problema raccogliere il grano.
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