L’attrezzatura per la trebbiatura, all’inizio della mia esperienza diretta, era formata da tre pezzi: il trattore, la macchina e la scala. Questi mezzi venivano piazzati in fila uno di seguito all’altro per una lunghezza complessiva di circa 50 metri. Il trattore aveva come presa di forza una ruota in ferro (puleggia) del diametro di circa 40 centimetri, posizionata sul retro o di lato, dove veniva applicata una grossa e lunga cinghia (il cignone) che andava ad azionare, tramite una ruota simile, posizionata sulla trebbiatrice, tutti i movimenti della trebbiatrice stessa e degli accessori.
Trebbiatura nel 1941. Immagine di Cinecittà Luce tratta dal sito del Senato delle Repubblica
In particolare alla ruota direttamente mossa dal cignone era applicato il battitore: organo principale delle trebbiatrice. Il battitore era costituito da spesse barre in ferro dentellate fissate con robuste viti a dei cerchi in modo da formare una specie di gabbia cilindrica. Quando la macchina era in azione a pieni giri le barre dentate ed il battitore stesso non si vedevano in nessun caso tanta era la velocità con cui giravano. Il battitore costituiva la bocca superiore della trebbiatrice. Sotto di esso stavano tutti gli altri organi: per primo l’espulsore della paglia, formato da 4 barrette in legno che si abbassavano ed alzavano alternativamente 2 a 2 e facevano appunto uscire la paglia dalla grande bocca anteriore della macchina; sotto ancora stavano i vari vagli che separavano il seme dalla lolla (involucro che contiene il chicco del grano) e ripulivano completamente il seme da tutte le impurità. Esisteva anche un sistema di ventilazione per togliere qualsiasi residuo di polvere. Il seme del grano così perfettamente pulito, venivano separati anche i chicchi spezzati, finiva su un serbatoio posto su retro della macchina, ed usciva fuori da 3 bocchette: due per il seme sano, ed una per quello spezzato. La lolla usciva fuori da una bocchetta al lato della trebbiatrice. Tutti questi strumenti erano mossi, come accennato, partendo dalla ruota cui era posizionato il cignone, con una serie di ruote, cinghie e ingranaggi.
Trattore testacalda degli anni ’20. Fonte Forum passioneauto
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Trattore a testa calda degli anni ’40
Negli anni ’40 si usavano trattori a testa calda. Per metterli in moto occorreva scaldargli il naso: una specie di coppa in ghisa posta sul davanti del trattore che aveva appunto la forma di un grosso naso. Si doveva far fuoco sotto questa coppa fino a che non fosse diventata rossa incandescente. Solo allora, servendosi di una manovella, si dava la spinta al motore che permetteva la partenza. Per il fuoco si poteva usare qualsiasi combustibile: legna, carbone. In particolare nel nostro podere, per quanto ricordi, si usava gas in bombole. Non sempre i mezzi che servivano per azionare i macchinari per la trebbiatura erano veri trattori semoventi. Alle volte si trattava di semplici motori. Pertanto non potevano servire a trasportare la trebbiatrice e gli altri accessori, ma loro stessi dovevano essere trasportati, ed erano ben pesanti. Naturalmente provvedevano i contadini con le bestie.
Appena tutta l’attrezzatura trasportata con vari mezzi si trovava sull’aia gli addetti, li chiamavamo macchinisti, provvedevano a piazzare la trebbiatrice. I macchinari dovevano lavorare perfettamente in piano, pertanto occorreva alzare le ruote delle macchine da un lato o dall’altro. Per far questo si usava un grosso cric (la binda), attrezzo formidabile in grado di sollevare qualunque peso, anche quello di un trattore. Quando la bolla d’aria sulla livella indicava che il mezzo era in piano si provvedeva a fissare tutte le ruote con speciali ceppi. Le operazioni di messa in opera dei macchinari duravano dai 40 ai 60 minuti, dipendeva dalle condizioni dell’aia, ma anche dall’abilità della squadra dei macchinisti. A questo punto si applicava il cignone, si metteva in moto il trattore e la trebbiatura poteva cominciare.
L’imboccatore si posizionava dentro la speciale buca che stava sopra la trebbiatrice davanti a battitore. Accanto a lui, con il mano il coltello a ronchetto, stava il tagliatore di balzi. Questi due personaggi svolgevano il lavoro più massacrante. Il secondo tagliava il legaccio della manna e la porgeva al primo che a braccia aperte spediva il fascio di grano al battitore. Tutto questo avveniva al ritmo di quasi una manna al secondo. Gli addetti alla mucchia, armati di forcone, gettavano le prime manne dall’alto sul pianale della trebbiatrice. Demolita la cima si scavava una buca, per circa un terzo della superficie della mucchia in modo da portarsi il prima possibile al livello della trebbiatrice. Si proseguiva con alcuni addetti che dalla parte alta gettavano le manne ed altri in fondo che le porgevano al tagliatore. Quando tutta la superficie della mucchia si trovava allo stesso livello della trebbiatrice si cominciava a scavare la buca dalla parte opposta. Quelli che prima stavano sulla buca ora si trovavano in alto, gli altri porgevano le manne dal basso. Alla fine restava un bancale accanto alla macchina che veniva trebbiato per ultimo. In un’aia di media dimensioni servivano 5 addetti alla mucchia. Per dimensioni dell’aia intendiamo la quantità di grano da trebbiare.
Trebbiatura del 1935. Mussolini svolge il lavoro dell’imboccatore

Continua con La trebbiatura in Valdichiana (II parte)
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