La raccolta delle manne sull’aia, per non correre rischi, doveva terminare almeno 5 o 6 giorni prima della trebbiatura. Il podere Sant’angelo, dove la mia famiglia ha vissuto per otto anni, faceva parte di una vasta tenuta formata da 37 poderi. L’amministrazione di questa tenuta provvedeva direttamente alla trebbiatura con propria attrezzatura e propri dipendenti addetti alla gestione dei macchinari. La trebbiatura nei 37 poderi rispettava sempre lo stesso ordine, ma ad anni alterni. Il podere che aveva la trebbiatura per primo, l’anno successivo l’aveva per ultimo. Noi un anno eravamo i quarti a trebbiare e l’anno successivo i quartultimi. Per riportare le manne facevamo gli scambi tra contadini vicini. Nella nostra zona vivevano sei famiglie con poderi distanti l’uno dall’altro non più 200 metri. Effettuavamo scambi tre a tre. La trebbiatura iniziava intorno al 15 luglio, pertanto negli anni in cui eravamo tra i primi a trebbiare dovevamo prepararci subito dopo la mietitura. Le tre famiglie di contadini si riunivano insieme con carri e bestie nella prima aia, nello stesso ordine della trebbiatura.

La coltivazione del grano negli anni ’50 in Valdichiana

Carro agricolo in uso in Valdichiana

Carro agricolo in uso in Valdichiana

I carri agricoli usati in Valdichiana erano delle vere e proprie opere d’arte prodotte da artigiani del legno locali. Mi rimane molto difficile descrivere la loro complessa struttura. Mi limiterò, pertanto, a descrivere le armature che dovevano essere aggiunte per renderli idonei al trasporto delle manne. Una comune scala a pioli in legno era posata sul timone, sul punto dove finisce la carla (spazio del carro all’interno del quale si caricavano le merci) ed andava ad appoggiarsi su un legno posto trasversalmente sulle stanghe del carro. Il tutto veniva ben legato con una fune. La scala non stava perfettamente in verticale ma in pendenza sul davanti. Dietro, incastrato sull’apposito foro, veniva posizionato il raggellino (lungo e grosso legno) che veniva legato sempre con il solito appoggio trasversale. Il raggelino (o reggellino) aveva una lieve pendenza all’indietro.

Gli artigiani che realizzavano il carro ponevano il proprio marchio

Gli artigiani che realizzavano il carro ponevano il proprio marchio

Le ruote del carro dovevano essere oleate frequentemente, pertanto prima di iniziare a riportare le manne era opportuno provvedere a questa funzione. Si sollevava il carro, prima da un lato poi dall’altro, come si fa con l’automobile per sostituire la ruota, ma non esisteva cric. Due uomini, servendosi anche di leve, riuscivano a sollevare il carro di quei pochi centimetri sufficienti a non far toccare a terra le ruote. Si mettevano poi dei sostegni per tenere in carro in quella posizione, le ruote potevano così girare a vuoto. Si toglieva il perno di fissaggio per far uscire parzialmente la ruota dalla sala e servendosi di una grossa penna di ala d’oca si spalmava la morca (il residuo in fondo allo ziro dell’olio di oliva) tra la sala e la bronzina. Chiamavamo sala quel pesante ferro, quadrato al centro e rotondo ai lati, che posto trasversalmente sosteneva tutto il peso del carro. Le bronzine erano quegli anelli in ferro lunghi circa 50 centimetri che stavano all’interno delle ruote. Non esistevano cuscinetti tra sala e bronzine, così si produceva quel classico rumore che chiamavamo lo scuotere del carro.

Al primo mattino, mentre i carri partivano per caricare le manne, l’addetto alla costruzione della mucchia provvedeva a disegnare un cerchio dove si posizionava la mucchia stessa. Conficcava sul terreno un paletto a cui legava una corda lunga 5 – 6 metri . All’altra estremità della corda era fissato un oggetto appuntito. Tenendo la corda tesa girava intorno al perno centrale e con la punta dell’attrezzo incideva il terreno. Con questo compasso formava un cerchio perfetto e poi stendeva della calce sopra il segno per renderlo ben visibile. Il cerchio costituiva la base iniziale della mucchia.

Mucchia in costruzione. Fonte www.ilpalio.org

Mucchia in costruzione. Fonte www.ilpalio.org 

Intanto i carri arrivati sul campo venivano accostati alle mucchie alla distanza di circa un metro. La persona addetta a porgere le manne cominciava a gettare sul carro quelle della punta. Poi si posizionava sopra la mucchia stessa e continuava, servendosi di un forcone, a caricare le manne sul carro. Un secondo contadino stava sul carro ad accomodare le manne. Una volta riempito la carla si cominciava a mettere le manne di traverso, sulla carla stessa, ma anche più avanti sopra le pertiche del carro fino alla scala che era posizionata come descritto. Le manne sporgevano dal carro, con le spighe all’interno, per circa la metà della loro lunghezza. Altre manne si posizionavano più all’intero in modo che tutto il carico risultasse ben collegato. Man mano che il carico cresceva la linea della manne si allungava in quanto, sia la scala sul davanti che il raggelino dietro erano inclinati verso l’esterno. Di solito sul carro vi entrava l’intera mucchia. Però se questa era particolarmente grossa poteva restare un culaccio, che avremmo caricato al viaggio successivo. Il massimo carico era quando le manne arrivavano all’ultimo piolo della scala. Finito il carico si provvedeva alla legatura utilizzando una grossa e lunga pertica e una fune. La pertica veniva passata sotto il piolo dove arrivavano le manne, più in basso possibile perché la pertica doveva pressare le manne stesse. Dietro si legava con la fune la pertica al raggelino, con nodo scorsoio si stringeva la pertica al massimo. Dopodiché si fissava la fune facendo dei nodi con abilità quasi da marinaio.

Serie di boccolacci, museruole per Bovini. Fonte Museo della civiltà contadina

Serie di boccolacci, museruole per bovini. Fonte Museo della civiltà contadina

In tutto il tempo le bestie se ne stavano tranquille attaccate al carro, però, se sulla stoppia era rinata dell’erba, c’era il rischio che tentassero di mangiarla piegando la testa e facendo abbassare pericolosamente il carro. Per evitare questo si metteva loro il boccolaccio. Il boccolaccio era una gabbietta rotonda formata da fili di ferro intrecciati che veniva applicata al muso delle bestie e legata dietro le corna.

Legato il carico si partiva per l’aia, il contadino che guidava le bestie, se non voleva andare a piedi, si posizionava sul timone, però molto avanti vicino al giogo cui erano attaccate le bestie perché il carico non lasciava altro spazio. Mentre l’altro aveva la responsabilità, se il percorso non era completamente piatto, di tirare la martinicca (freno del carro). La sua attenzione era massima. In vista di una discesa, anche lieve, doveva tenere in mano la corda che azionava la martinicca, per essere pronto a frenare il carro prima che prendesse velocità. La corda della martinicca era posizionata sempre dietro al carro da qui il detto “indietro come la martinicca del carro”.

La mucchia terminava con una punta. Fonte www.fondazionetagliolini.it

La mucchia terminava con una punta. Fonte www.fondazionetagliolini.it

Arrivati sull’aia e posizionato il carro vicino al disegno della grande mucchia, si staccavano le bestie e il carro veniva appoggiato sulla posa (speciale legno della lunghezza adeguata a che il carro fosse in piano, stava dentro a un foro sul timone, sopra quando il carro era attaccato e sotto quando serviva da appoggio). Il lavoro andava avanti in questo modo: dopo il primo viaggio, quando più carri erano piazzati intorno al cerchio, una squadra di contadini restava sull’aia per fare la mucchia, mentre altri continuavano a viaggiare attaccando le bestie ad altri carri. Essendo coinvolte tre famiglie, avevamo a disposizione sei carri. Sulla mucchia servivano almeno quattro persone, uno accomodava le manne e gli altri gliele porgevano, la quarta persona era addetta, alternandosi agli altri, a scaricare i carri. La mucchia grande era costruita con gli stessi criteri delle piccole sul campo. Per le dimensioni teniamo conto che la grande era formata dalle manne, nel nostro caso, di 30-32 mucchie piccole. Fino a che la mucchia era bassa o anche poco più alta del carro l’addetto allo scarico porgeva direttamente le manne alle persone che stavano su di essa. Quando cominciava ad essere troppo alta occorreva il barbacane. Chiamavamo barbacane la posizione che prendeva un addetto che si piazzava sulla lunga scala a pioli, qualche metro sopra il carro, con la schiena appoggiata alla mucchia che aveva il compito di prendere le manne poste dall’addetto allo scarico e passarle alle persone sulla mucchia. Per questa operazione si serviva di un piccolo forcone (forcello) con solo due corni molto corti. Questo arnese era funzionale in quanto sarebbe stato complicato, da quella posizione precaria, sfilare dalla manna un forcone con i corni lunghi. Quando la mucchia era molto alta, vicino alla vetta, occorreva una seconda posizione di barbacane. Gli addetti alla mucchia, che all’inizio erano almeno quattro, nel punto in cui metteva la pancia, diventavano anche cinque. In seguito, man mano che si restringeva, le persone, una alla volta, scendevano. Alla fine restava il mucchiaiolo, che da solo faceva la vetta. Al momento di mettere le 5 o 6 manne in posizione verticale non c’era più spazio dove stare in piedi, allora si posizionava la scala più inclinata in modo che l’addetto potesse poggiare i piedi sull’ultimo piolo. Un paio di persone stavano a terra a reggere la scala per consentire al mucchiaiolo di lavorare con una certa sicurezza, molto relativa. Costruita la vetta era uso posizionarvi una piccola croce in legno con tre mele infisse sulle punte. Fatto questo il lavoro era completato. La squadra si spostava presso un altro podere. Per completare la raccolta sulle tre aie occorrevano 7 o 8 giorni.

Con tutto il raccolto concentrato sull’aia si palesava, da parte dei contadini, il timore che potesse svilupparsi un incendio. Per questo motivo si imponeva ai ragazzi di non tenere fiammiferi in tasca e soprattutto di non avvicinarsi mai alla mucchia. Restavamo così in attesa dalla trebbiatura.

Continua con La trebbiatura in Valdichiana (I parte)

Vasco Della Giovampaola

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