I bovini rappresentavano nei poderi una energia importante per svolgere i lavori troppo faticosi per l’uomo, come trainare i pesanti carri da trasporto e tutti gli altri mezzi utili per la coltivazione dei terreni. Gli animali dovevano essere avvezzati a questo servizio, cioè dovevano essere domati.

Allevamento in Toscana negli anni ’40 e ’50

Quando le giovenche avevano raggiunto l’età giusta, mi sembra circa 18 mesi, venivano fatte uscire dalla stalla insieme ad una vacca anziana. Le due bestie venivano poste l’una accanto all’altra e si caricava sul loro collo il giogo. Il giogo era costituito da una specie di traversa il legno spesssa tra gli 8 ai 10 centimetri e alta circa 15, mentre la lunghezza doveva essere intorno ai due metri. Ai due lati aveva un incavo in corrispondenza del collo delle bestie, mentre al cento c’era una scannellatura dove si applicava l’attrezzatura per l’attacco ai mezzi. Il collare per l’attacco alle bestie era formato da diversi materiali: sui fori ai lati delle scannellature stavano delle brevi catenelle collegate a dei legnetti lunghi 25-30 centimetri, mentre ai lati opposti di questi stavano rispettivamente una funicella fissata ad un foro ed una scannellatura dove si agganciava la fune. Questo complesso sistema garantiva la flessibilità, la resistenza e soprattutto la sicurezza: la fune, in caso di emergenza, poteva essere facilmente tagliata. A tale scopo i contadini avevano l’abitudine di portare una piccola falce o un coltello con la lama arcuata.

La giovenca

Appena la giovenca si sentiva il giogo sul collo si poneva di traverso e tentava in ogni modo di scrollarsi questo  peso di dosso. Per tenere a bada e guidare le bestie era applicato al naso il freno, apposito ferro a forma di tenaglia che era legato ad una lunga funicella, il cosiddetto paiale, che permetteva di guidare gli animali da dietro. La giovenca si trovava così tra la vacca anziana e tranquilla e due persone, una dietro che la teneva a freno tirando il paiale, ed una davanti, che tentava di guidarla e controllava ogni su mossa. In questo modo si faceva camminare la coppia per l’aia o altri spazi vicino casa. Dopo poco la giovenca si stancava e diventava più mansueta. Questa prima operazione durava pochi minuti. Infatti al giovane animale si irritava la pelle e cominciava, come si diceva, a scottargli il collo. L’operazione si ripeteva quasi tutti i giorni per tempi sempre più lunghi, sul collo della giovenca pian piano si formava il callo ed il giogo le dava sempre meno fastidio. Dopo poco tempo la nuova coppia veniva attaccata anche al carro, così per la giovenca iniziava la carriera lavorativa e poteva considerarsi domata. Ognuna delle bestie veniva aggiogata sempre dallo stesso lato. Pertanto in ogni coppia esisteva la vacca dritta e quella mancina. Alla vacca si poteva cambiare la compagna, ma non era assolutamente possibile cambiarle lato.

Antico giogo per i bovini

Antico giogo per i bovini

I buoi venivano usati per l’aratura

Negli anni ’40, inizio ’50 al podere La Strada avevamo anche un paio di buoi: questi mansueti e possenti animali erano indispensabili in quel periodo dove non si usavano trattori e tutti i terreni erano lavorati con mezzi a trazione animale. I “bovi” già allora non venivano più allevati. Se qualcuno doveva sostituirne uno lo acquistava da un altro contadino che fosse rimasto anch’egli con un solo animale. L’affare non si poteva concludere se i due bovi non erano un dritto e l’altro mancino. In quel periodo i buoi vennero in breve tempo ad esaurirsi. Con la comparsa dei trattori divennero non più indispensabili per il lavoro.

Coppia di bovini che ara la terra

Coppia di bovini utilizzata per lavorare la terra

Al loro posto si potevano tenere due vacche in più, notevolmente più utili alla fragile economia delle famiglie contadine. Pertanto non ho avuto la possibilità di assistere alla domatura di un bovino maschio. Senza dubbio sarà stato più complicato che domare una femmina, anche se i maschi destinati al lavoro subivano la castratura, non era pensabile di mettere il giogo ad un toro. Il bovino maschio castrato, che appunto viene chiamato bue, conservava tutta la sua forza, anche se  l’aspetto fisico subiva delle modificazioni. Ad esempio l’enorme collo del toro nel bue era notevolmente ridimensionato. Il bue tendeva a somigliare ad una femmina.

Vasco Della Giovampaola

Serie allevamento dei bovini:

  1. La cura della razza chianina in Valdichiana
  2. I lavori nella stalla
  3. Il foraggio per i bovini
  4. La doma dei bovini per arare i campi (questo articolo)
  5. La nascita del vitellino

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