Il grano destinato al consumo della famiglia lo portavamo tutto al molino per poi ritirare ogni 2 o 3 mesi la farina e i sottoprodotti, crusca e tritello. La crusca che noi chiamavamo semola, anzi sembola, è la buccia del chicco di grano. Il tritello è anch’esso costituito dalla buccia del grano, però è più fino e contiene tracce di farina. Questi sottoprodotti erano buon cibo per gli animali.

Impasto a mano di pane con lievito madre

Impasto a mano di pane con lievito madre

Il pane veniva fatto una volta a settimana. Ero io, quando andavo a scuola, ad avere l’incarico di comprare 15 o 20 lire di lievito di birra. La sera precedente mia nonna metteva a bagno in una grossa pignatta di coccio (per noi pignatto) il lievito madre. Si trattava di una piccola parte dell’impasto per il pane della settimana precedente. Le donne della famiglia si alzavano tra le 2 e le 3 di notte. Dopo aver messo un grosso mucchio di farina nella madia, creavano al centro una vaschetta, dove versavano l’acqua del pignatto in cui era stato sciolto il lievito madre e il lievito di birra.  Poi in due o tre in fila davanti alla madia impastavano il pane per oltre un’ora aggiungendo man mano, secondo le necessità, acqua e farina. Dall’impasto si creavano le pagnotte, dopo aver dato loro la classica forma rotondeggiante si facevano dei tagli sopra e si avvolgevano con bianchi teli ponendole a lievitare sopra alle panche. Nel periodo invernale si mettevano dei braceri sotto alle panche per favorire la lievitazione.

Capanno con forno

Capanno con forno

Intanto mia nonna scendeva a dar fuoco al forno. I forni consistevano in una piccola stanza sul fondo della quale, ad un’altezza di circa 120 centimetri, era realizzato il forno vero e proprio che era rotondo con il tetto a cupola rivestito interamente con mattoni refrattari. Sopra l’apertura che aveva forma quadrata di circa 60 centimetri di lato, era posizionata la cappa del camino che portava fuori i fumi. Il diametro del forno doveva essere non meno di 170 centimetri se è vero che potevano dormirci dentro le persone. Si raccontava che nel passato, forse fino ai primi anni del 1900, veniva chiesta ospitalità ai contadini, particolarmente da parte di poveri di passaggio. Il forno era un ambiente ben asciutto e si poteva trovare anche tiepido. Pertanto, con un poco di paglia sotto, con la testa alla bocca del forno stesso, era possibile passarci la notte. Del resto era l’unico letto che i contadini potessero offrire. A tal proposito mia nonna raccontava il seguente episodio, avvenuto non sappiamo bene né dove né quando, che aveva un significato moraleggiante:  “Presso dei  contadini una sera si presentò un viandante a chiedere ospitalità per una notte e gli  fu permesso di dormire dentro il forno. Poco più tardi ne arrivò un secondo con la stessa richiesta, anche a lui venne accordato lo stesso favore. I due trovandosi insieme in quel luogo, prima di addormentarsi parlarono dei fatti loro. Uno dei due risultò essere un fumatore accanito e non mancò di accendere anche in quella situazione. L’altro invece non aveva mai fumato in vita sua. Il non fumatore chiese: quante sigarette al giorno fumi e quanto costa una sigaretta?  In media dieci ed ognuna costa una lira, rispose l’altro. Senti, fece il primo, facciamo un po’ di conti.  10 sigarette al giorno sono 3.650 lire all’anno quanti anni sono che fumi? Ho fumato fin da ragazzo, sono 30 anni, fu la risposta. Allora, calcolò l’altro, se tu non avessi mai fumato avresti risparmiato più di 100.000 lire: saresti ricco altro che dormire nel forno!  Ci fu un silenzio di alcuni minuti, poi il fumatore chiese: ma tu che non hai mai fumato perché sei qui a dormire insieme a me? Sembra che non ci sia stata risposta”.

Fiamme dentro un forno a legna

Fiamme dentro un forno a legna

Dopo queste divagazioni torniamo a mia nonna che aveva dato fuoco alla legna dentro il forno. La legna che si usava era quella di scarto: tagliatura delle macchie, ripulitura di boschi, frasche o fascine. Comunque sempre legna fine. Mia nonna faceva fuoco fino a quando il forno non raggiungeva la giusta temperatura, che lei riscontrava dal colore dei mattoni refrattari, che con il calore divenivano più bianchi. Si calcolavano i tempi in modo che la lievitazione del pane coincidesse con il giusto riscaldamento del forno.

Poi mia nonna servendosi di una scopa, fatta con ginestre verdi in modo che non prendesse fuoco, ammucchiava brace e cenere rovente ad un lato del forno. contemporaneamente le altre donne servendosi di una larga tavola, che chiamavamo la tavola del pane, portavano giù le pagnotte che venivano infornate con l’apposita pala piatta di legno. Con la pasta del pane si facevano anche delle ciacce, condite in vari modi, che venivano infornate alla fine vicino alla bocca del forno. Si chiudeva poi il forno con il coperchio metallico e non restava che attendere la cottura per poi sfornare il tutto e riempire la madia, cosi per una settimana avevamo l’elemento principale per la nostra nutrizione.

Pagnotte appena sfornate

Pagnotte appena sfornate

Ricordo che nella nostra famiglia, quando ero piccolo,  nei mesi in cui le giornate erano lunghe, da aprile a settembre, si faceva il pranzo, mentre nel periodo ottobre marzo si faceva la cena. Con il termine “fare” si  intendeva consumare il pasto principale, quello accuratamente preparato dalla massaia, formato da primo e secondo piatto dove tutta la famiglia mangiava riunita intorno alla lunga tavola di marmo. Gli altri pasti erano consumati senza un ordine o un orario precisi, ognuno li adattava alle sue esigenze. Il pane era rigorosamente consumato ad ogni pasto. Spesso era l’ingrediente principale di alcuni cibi cotti. Quella che noi chiamavamo minestra di pane o minestra di fagioli,  che si faceva quando il pane era divenuto duro, consisteva in pane tagliato a fette sottili dentro un grande tegame dove mia nonna versava, servendosi di un ramaiolo, del brodo che aveva preparato facendo bollire i fagioli in abbondante acqua con aggiunta di sale e aromi. Effettuava questa operazione lentamente, per consentire al brodo di impregnare completamente il pane, alla fine versava nel tegame anche i fagioli rimasti sul fondo della pentola. Prima di mangiare questa minestra dovevamo attende un po’ di tempo in modo che divenisse ben amalgamata. Gli uomini, i quali avevano il diritto di servirsi per primi, avevano poca pazienza e cominciavano sempre a tirare giù la minestra prima del tempo. Mia nonna li rimproverava dicendo che non avevano aspettato neanche che il fumo fosse arrivato ai travi. Le case coloniche non avevano soffitti e le travi che sostenevano il tetto erano scoperte e si vedeva il vapore del brodo che saliva fino ad esse. Questa minestra era fatta sempre in abbondanza il modo che ne avanzasse abbastanza per essere riscaldata, magari a colazione o in un altro pasto veloce del giorno seguente. Il secondo giorno era molto più buona:  si trattava della ribollita di quei tempi. Altre vivande che avevano nel pane l’ingrediente quasi esclusivo erano le cosiddette pappe: pane cotto con salsa di pomodoro olio e sale (pappa col pomodoro), oppure pane cotto con uovo (pappa all’uovo). Il pane veniva consumato anche con qualunque secondo, fosse stato carne (raramente), legumi, frittata, affettati e anche patate. La raccomandazione di mia nonna era sempre la stessa: “Mangiateci il pane”. Noi ragazzi il pane lo trovavamo sempre alle merende e a tutti i pasti improvvisati: pane a fette asciutto o bagnato con sopra zucchero, pane con pomodoro strusciato sopra, olio e sale, con solo olio e sale, con marmellata fatta in casa o con qualche frutto essiccato, mai da solo. Se il companatico (così si chiamava tutto quello che si mangiava insieme al pane) alle volte scarseggiava non aveva molta importanza ne bastava poco per rendere il pane appetibile.

Piccolo pane fatto in casa con lievito madre

Piccolo pane fatto in casa con lievito madre dal Bosco di Ogigia

In seguito durante gli anni  50 si cominciò, solo nei mesi estivi, a prendere il pane già pronto. Il fornaio, col suo furgoncino, provvedeva a fare il servizio a domicilio. I contadini decidevano ogni giorno quanti filoni prendere e venivano segnati nel libretto del pane. Il pane veniva scambiato con la farina alla pari ogni kg di pane un kg di farina. Il fornaio poteva ritirare la farina direttamente presso il mulino in conto del contadino.

Il pane era l’alimento che permetteva ai contadini di non soffrire la fame neanche nei periodi difficili, durante e dopo le guerre. Per  questo la coltivazione del grano aveva un’importanza quasi sacra.

Vasco Della Giovampaola

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Come si coltivava il grano 70 anni fa
La semina del grano nel secolo scorso
Sotto la neve ci sta il pane, sotto l’acqua ci sta la fame
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La falciatrice all’opera
La mietilega e la costruzione delle mucchie
Lavori notturni e ricordi di guerra
Vita contadina, la raccolta delle manne
La trebbiatura in Valdichiana (I parte)
La trebbiatura in Valdichiana (II parte) 
La colonna sonora della trebbiatura in Valdichiana
Riposo, divertimenti e pasti durante la trebbiatura
Trebbiatura: la tavola dei macchinisti

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Quando la canapa italiana era la migliore del mondo
Coltivazione del tabacco in Valdichiana, anni ’40-’50

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