Quando scendo dall’aereo il sole è appena sorto. Mi aspetto una mattina estiva, con una temperatura calda, ma piacevole, invece l’aria sembra solida. Ho la sensazione di un calore compatto, impenetrabile. È solo la fine di aprile e, chi vive da queste parti, mi assicura che il clima è ancora piacevole. Il vero caldo deve arrivare. Così comincia il mio breve soggiorno a Dubai, la capitale di uno dei sette stati degli Emirati Arabi Uniti, una città cresciuta in pochi decenni nel deserto di fronte al mare nel Golfo Persico.

Dubai è un luogo popolare. In molti l’hanno visitata perché dal turismo la città emiratina ricava gran parte delle sue ricchezze, altri la conoscono come meta per il business. Solo il dieci per cento della popolazione è originaria di queste parti, l’altro 90 per cento arriva dal resto del mondo, attratta da lavoro, opportunità e dinamismo. Partendo da Roma, arrivare a Dubai significa fare un balzo in avanti nel tempo. Grattacieli, isole artificiali, una metropolitana perfetta, verde pubblico curatissimo, pulizia, ordine e lavori in corso accolgono tutti trionfalmente. Viene subito da pensare: “Ecco dove porta lo sviluppo. Ecco il progresso vincente. Se tutti hanno da mangiare, servizi efficienti, un lavoro, cosa c’è di male in questo stile di vita?”.

A due passi dai grattacieli le spiagge di sabbia bianca

A due passi dai grattacieli le spiagge di sabbia bianca

Burj Khalifa

Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo (829,8 metri)

Per millenni solo pochi uomini hanno abitato questa terra arida affacciata su un mare pescoso, perché per vivere nel deserto è necessario conoscerlo bene, rispettarne le regole e sapervisi adattare. Poi è arrivato il petrolio e tutto è improvvisamente cambiato. A Dubai i primi giacimenti sono stati scoperti nel 1966 e non sono mai stati generosi come quelli della vicina Abu Dhabi, ma sufficienti ad avviare uno sviluppo vertiginoso alimentato dall’industria del turismo e da quella immobiliare. Nonostante la frenata ai mega progetti arrivata con la crisi del 2009, Dubai si presenta oggi come la metropoli dei record. Ai suoi residenti e visitatori mette a disposizione l’edificio più alto del mondo (Burj Khalifa), una penisola a forma di palma realizzata per moltiplicare i chilometri delle sue coste e offrire una spiaggia privata a tutte le ville dei ricchi del mondo (Palm Jumeirah), un resort a innumerevoli stelle che ospita un parco acquatico, una baia per nuotare con i delfini e un acquario sotterraneo (Atlantis) e una serie di centri commerciali dove acquistare tutti, ma proprio tutti, i prodotti dei più celebri e costosi marchi del mondo.

Dubai, una città che consuma tanta energia

Piscina sul tetto di un albergo a Dubai

Piscina sul tetto di un albergo a Dubai

Come si sposa questo trionfo di meraviglie con il clima desertico e umido (per via del mare) di questa parte del mondo? A far funzionare la difficile relazione è l’aria condizionata che, quando necessario, si spinge a rinfrescare persino gli esterni. Alberi e pratini verdi fanno quello che possono, grazie ad una capillare irrigazione a goccia che li fa vivere e vegetare sulla sabbia. Per non far stare sempre al chiuso i suoi clienti gli innumerevoli alberghi sono attrezzati con suggestive piscine tra i grattacieli. Bottigliette d’acqua fresca si vendono a ogni angolo di strada per arginare le crisi di disidratazione, non rare tra i turisti non attrezzati. Gli spostamenti, nonostante la bellissima metropolitana, avvengono prevalentemente in automobili condizionate perché, anche brevi tragitti a piedi, qui sono troppo faticosi per il caldo.

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Operai al lavoro. A Dubai le aiuole sono sempre fiorite

Operai al lavoro. A Dubai le aiuole sono sempre fiorite

Quanta energia serve per far funzionare tutto questo? Per tenere perennemente accesi gli impianti di refrigerazione, per desalinizzare l’acqua del mare, per accendere le luci che di notte fanno risplendere la città e tutto ciò che le sta intorno, per irrigare ettari e ettari di verde artificiale, per far arrivare la grande quantità e varietà di cibo che confluisce qui dal resto del globo per soddisfare tutti i gusti? Ne occorre tantissima. E non si tratta solo di energia elettrica, serve anche tanto lavoro umano. La manodopera è abbondante perché arriva dai paesi vicini come il Pakistan e l’India. A questo flusso costante di lavoratori a bassissimo costo si aggiungono i professionisti specializzati che arrivano da tutto il pianeta per fornire le competenze che servono a costruire questo gigantesco parco di divertimenti. Tutto è partito grazie al petrolio, che però le stime danno in esaurimento in tutti gli Emirati Arabi Uniti entro i prossimi venti anni. Ma la fine delle riserve petrolifere con coglierà alla sprovvista gli emiri che hanno già avviato la costruzione di centrali nucleari e lo sfruttamento delle fonti rinnovabili, a partire dal sole che qui non manca.

Una società non sostenibile

Campo da Golf dentro Dubai

Campo da golf dentro Dubai

Una società così energivora però è una società fragile. Una crisi economica, come quella capitata nel 2009, oppure un attentato, o un evento naturale che interrompessero il regolare scorrere delle attività, potrebbero in pochissimo tempo rendere impossibile la sopravvivenza in una città che oggi ospita quasi tre milioni di abitanti. Di fronte a tale fragilità mi viene in mente la parola resilienza, che indica la capacità di un materiale, di una persona o di un ecosistema di superare un evento traumatico. Un calo improvviso della fornitura di energia elettrica basterebbe  a fermare gli impianti di condizionamento climatico. Chi potrebbe sopravvivere nei lussuosi appartamenti pieni di vetrate che tanto successo hanno da queste parti? Per non parlare della dipendenza da energie esterne anche per beni primari come il cibo e l’acqua. In una città sul deserto la precarietà del sistema salta all’occhio, in altre latitudini il pericolo è meno evidente, ma è la società moderna, in generale, a essere fragile. Il “cosiddetto” progresso spinge a concentrare sempre di più le persone dentro città affollate, mentre le campagne si spopolano e vengono spremute senza rispetto per produrre viveri da consumare lontano. Questa complessa organizzazione consuma tanta energia e, nel lungo periodo, non è sostenibile.

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